Forse la storia è un solo grande archetipo, che si diverte a declinarsi in forme diverse e lascia dietro di sè piccoli, significativi indizi. Un grande romanzo primigenio, che viviamo inconsapevoli, illuminati da imprevisti e incerti baluginari. C’è sempre un treno nel nostro destino. Anna Karenina trovò il suo alla stazione di Mosca; Tolstoj in quella piccola di Astàpovo; migliaia di lituani partirono da quelle di Kaunas, di Vilnius per non tornare mai più, in quel giugno del 1941. E queste nostre storie lituane iniziarono da quel vagone di treno merci, arenato su pochi metri di rotaia, in cui c’imbattemmo, per una casuale vacanza, a Rumšiškės.
Fabrizio del Dongo, sul campo di Waterloo, è sfiorato da un gruppo di nebulosi cavalieri al galoppo, mentre vicino a lui si alza il grido: vive l’Empereur! Il soffio della Storia.
A dicembre del 2017 eravamo nel Parlamento Lituano, per i trent’anni dalla morte di Dalia Grinkevičiūtė. Un piccolo gruppo di persone stava un po’ in disparte, in rigorosi vestiti neri e grigi, attorno a un anziano signore vestito di beige. E’ Vytautas Landsbergis, sussurrò chi ci accompagnava.
Qualche mese dopo, siamo a suonare il campanello di una casa in un tranquillo quartiere di Vilnius. E’ lo studio di Landsbergis, che ci accoglie sorridendo, vestito di beige. Il colore degli artisti, dicono. Il suo mestiere era insegnare musica e non disdegnava il gioco degli scacchi. In una foto del 1951 lo vediamo combattere con il futuro campione del mondo, Tigran Petrosian.
Alle pareti fotografie di lui con le personalità che hanno segnato il secolo appena trascorso: Giovanni Paolo II, Ronald Reagan, Margaret Thatcher, Francois Mitterand. Ci regala il libro delle sue memorie. Lo sfogliamo e ritorna il baluginare della storia.
Una fotografia lo ritrae in quella drammatica giornata del 13 gennaio 1991, quando tutto pareva perduto. Il Parlamento è circondato dai carri sovietici e lui è lì, che guarda avanti, in mezzo a due giovani che intuisci armati per l’ultima resistenza. Ed è l’immagine, che si ripete, di un altro assedio e di un altro presidente: Salvator Allende nella Moneda. Cile 1973.
L’archetipo si ripresenta, medesimo e mai uguale. I sovietici non l’ebbero vinta. Landsbergis inizia a parlare di quegli anni e di quegli avvenimenti. Noi siamo qui a raccontarlo.
Un lavoro importante che merita di essere divulgato. Un Paese, la Lituania, che ha molto lottato per conquistare e riconquistare la sua indipsndenza e dunque la sua libertà. Complimenti agli autori di questo interessantOssimo reportage. Beppe Germanetti